Pioggia
L’odore, il suono, le gocce come spilli sulla faccia, elettriche.
La pioggia mi piace davvero, anche più della neve. E’ un evento che parla da vicino e a voce alta alle orecchie dei miei istinti più basici e li risveglia di soprassalto mentre stanno ancora dormendo, materno.
L’effetto è immediato. Eppure quando piove qui, perché è inverno, perché è Milano, non è come in campagna, qui non c’è alcuna indulgenza per il tuo stato d’animo, in ciò che vedi. Sullo sfondo non ci sono mai immagini a cui aggrapparsi e in grado di risvegliare una sensazioni che dissolve la cupezza e il grigiore della pioggia, non c’è un orizzonte in cui poter indugiare con lo sguardo, non ci sono acquerelli di colline, di campi di color pastello sovrastati da un magnifico drappeggio d’acqua, maestoso e leggero, mentre ondeggia lontano nel vento. Niente di tutto questo.
Qui piove sul cemento del parcheggio ed è una lurida minestra di mozziconi, brandelli di giornale e foglie. Le piccole cascate d’acqua sui gradini della metro arricciano e trascinano minuscole scorie abbandonate da vite che sono passate di qua tra un battito di ciglia ed un respiro, travolte dallo scorrere del tempo. Non c’è modo di guardare lontano.
Qui non ho scampo, mi avvolge, mi infreddolisce e mi bagna, poi si accanisce sui pensieri e li sfilaccia in tanti piccoli pezzi. Questo è anche un abbraccio, però, me ne rendo conto, un abbraccio che in qualche modo mi lava e mi protegge. E’ un bellissimo concerto di contraddizioni.
E’ armonia. Perché l’armonia non è assenza di contrasti, ma bilanciamento – non ricordo chi l’abbia detto, ma è davvero così.
E’ un’armonia che ti viene imposta, che ti impone anche un cambio di ritmo, devi fare attenzione.
Un piccolo caos, tutte quelle cose di cui prendersi cura, all’improvviso; le scarpe non si devono bagnare troppo, le pozzanghere: non devi finirci dentro, la signora con l’ombrello che ti viene incontro non ti sta guardando e non si accorgerà di te nemmeno dopo averti trafitto… E’ una battaglia in cui sprofondi con rassegnata diligenza.
Ma solo se trovi il coraggio e l’incoscienza di starci veramente dentro, puoi vivere appieno l’opportunità che porta con se.
E una volta che sei dentro devi scegliere. Mi bagno e mi lascio pungere, così mi sveglio, così la sua energia mi travolge, poi corro, perché non mi voglio bagnare più, oppure mi copro, e allora rinuncio e cerco di restare asciutto.
Come gli errori. Scelgo di abbandonarmi e sbagliare fino in fondo, se in quel momento ho bisogno di sprofondare; poi però devo mettere in conto più tempo per riprendermi e asciugare le ossa, e pulire gli occhiali.
Oppure mi posso bagnare il meno possibile, perché corro, perché non voglio restare inerme e sono attentissimo, salto le pozze, cammino sulle punte, però poi potrei rimpiangere di non essermi bagnato abbastanza. Per tremare. Per capire.
La pioggia fa stridere ogni volta tra loro le mie due nature, prudenza e abbandono, in uno stupendo e minuscolo dilemma. Devo solo scegliere come affrontarla oppure stabilire dove mettermi per guardarla da lontano, al riparo.
Come Jim Jarmush fa dire a Forest Whitacker in Ghost Dog (link), citando l’Hagakure: “sul muro di Naoshige era scritto: le questioni più gravi vanno trattate con leggerezza. Il maestro Ittei subito commentò: quelle meno gravi vanno trattate con serietà.”
La pioggia è un’ottima maestra in questo senso: mi esercito a scegliere con attenzione, meticolosamente, voglio misurare le conseguenze e pesare le mie scelte. Se vorrò potrò sempre e comunque abbandonarmi all’acqua.
L’importante è scegliere, ma ancora di più, di volta in volta, cercare di capire perché ho scelto e perché in quel momento ho avuto bisogno di fare proprio quella scelta.
Cerco di stare attento. La scelta di lasciarsi trascinare dalle circostanze voglio che sia qualcosa di fortemente consapevole, decidere di arrendersi a un imprevisto sa essere liberatorio, ma ha le sue conseguenze.
Soppesare queste conseguenze e decidere quanto lasciarsi andare è una misura da ricercare tra la liberazione e la pazzia, ma che ritengo fondamentale. Ogni tanto va fatto.
Serve per aggiornare il mio punto di vista sulle cose, ridisegnandolo partendo da un bel foglio bianco, un piccolo vuoto di coscienza controllato che ha la freschezza liberatoria di chi ha deciso scientemente di perdere, anche per poco, quanto è bastato per non rimanere asciutto.