Ricompense
“Il premio inteso a contraccambiare una prestazione o un’azione considerata utile o meritevole”
Ma anche…
“Termine generico che indica ciò che si dà in contraccambio di qualcosa di utile, come per esempio un lavoro, una prestazione, un aiuto, un favore ricevuto; o come premio o riconoscimento di azioni belle e lodevoli.”
A me piace “premio per azioni belle e lodevoli”.
Cioè: io ho compiuto un’azione bella e lodevole, e già di per se questo fa di me un eroe, ma poi in più vengo anche ricompensato! Fantastico.
Gratificazione. Questo è l’oggetto del desiderio.
C’è bisogno di sentirsi amati con riconoscenza, di dissetare il nostro bisogno di andare davvero bene a qualcuno. C’è la necessità costante di trovare un’acqua migliore di quella che stiamo già bevendo, anche quando ci troviamo nel bel mezzo di una pietraia e andrebbe bene anche solamente togliersi la sete. Anzi, forse è proprio quando ci si trova nel bel mezzo di una pietraia che il nostro desiderio si appuntisce. Cercare gratificazione è un buon modo per prendersi cura di se o di farsi amare e quindi poi anche per uscire dalle pietraie.
Ecco, è proprio in questo senso che ho imparato che l’efficienza è figlia anche del sapere definire con chiarezza le ricompense, sforzandosi di farlo a priori e con la stessa meticolosità con cui si definisce la meta, proprio perché gratificarsi ci aiuta a trovare una via.
Questa è una cosa che di solito si tende a trascurare. Ci si concentra con maggiore forza sul concetto di efficienza fine a se stessa, il che è comunque importantissimo, per carità!, ma io credo sia altrettanto importante dare il giusto peso alla qualità del viaggio e non solo alla meta.
E allora si identifica l’obiettivo e si disegna il sentiero, ma la parte più difficile non è di certo quella, la parte più difficile resta come sempre quella riservata alla gestione del dolore, quello che si prova nel mettere in pratica giorno per giorno e uno dopo l’altro tutti passi prestabiliti, anteponendoli al resto, a ciò che ci distrae, alla pigrizia sublime di tutte le solite bellissime scuse. Si tratta né più né meno di capire quanto costa la forza di volontà, di quanta sofferenza crea essere volitivi fino in fondo per poi decidere di pagare quel prezzo per diventarlo per davvero e sacrificarsi per un bene maggiore.
Dire che in tutto questo non c’è sofferenza sarebbe falso tanto quanto dire che in tutto questo non c’è immensa soddisfazione e quindi gratificazione. La disciplina, il rispettare il patto con se stessi o lo riuscire a seguire una tabella di marcia, anche per una sola piccola cosa, è un successo che fortifica come poche altre cose nella vita, soprattutto per il costo emotivo che richiede in cambio. Gli attimi in cui ci si rende conto di aver raggiunto un obiettivo, di avere vinto una sfida, di aver rispettato i patti e i piani sono fatti di materia celeste, di un gas inebriante che gonfia il nostro spirito e lo eleva soave contornandolo di un alone di luce azzurro fosforescente che nutre il nostro ego con l’imbuto. Cose da supereroi.
Io da sempre sono molto bravo a lasciarmi distrarre e quindi a procrastinare. Questa è la mia sofferenza più grande: fare una cosa sola alla volta.
Purtroppo però è vero che il multi tasking non esiste e che la mancanza di concentrazione porta ad una immane dispersione di energie. Ho sempre trovato quasi limitante fare una sola cosa per volta, riduttivo, innaturale. In realtà poi ho imparato che è esattamente il contrario. Sono sempre stato una persona estremamente vorace e, proprio per questo, assolutamente distraibile. Cercare invece di non esserlo mi è costato e mi costa ancora oggi molta fatica. Ma la fatica è la polverina magica che cambia le cose.
In questa ottica sono state proprio l’immaginazione e la fantasia gli strumenti che, subito dopo al desiderio di una nuova mela più grande e più rossa, mi hanno aiutano a pianificare nuovi modi per andarmi a prendere proprio quella mela lì.
Ma, siccome raggiungere gli obbiettivi ci rende felici e soddisfatti e ci consente di migliorare la capacità di produrre in generale e di interagire con gli altri, significa che migliorare se stessi serve anche alle persone che ci stanno intorno, alla società. Migliorarsi ha anche una valenza sociale!
Un buon livello di energia positiva e di entusiasmo contaminano ogni elemento sulla tavola e ogni persona coinvolta nel gioco. Mettere giù le carte e iniziare una nuova partita diventa ancora più piacevole per tutti.
Poi però credo anche e soprattutto che la felicità debba essere perseguita anche con qualcosa che renda, magari non proprio golosa, ma almeno interessante, la gestione del dolore mentre si è per strada, qualcosa che renda tangibile e immediato ogni tanto un piccolo assaggio di soddisfazione.
E allora a un certo punto ho scoperto che la dolcezza del traguardo poteva essere pregustata, con parsimonia, condendo il percorso con qualche piccola caramella o zolletta di zucchero, messa scientemente proprio lì, dietro una brutta curva in salita o subito dopo un campo minato, nei punti più strategici per il mio equilibrio.
Il tono del viaggio va nutrito.
Questi anni, gli anni che stiamo vivendo, sono anni schizofrenici e drogati da un materialismo travolgente, anni irrimediabilmente densi in cui riuscire a vedere con chiarezza il proprio percorso è un qualcosa di paragonabile al momento di lucidità di un alcolista.
Riuscire a rimanere critici nei confronti di se stessi e dei propri progetti è qualcosa di inestimabile, va ripescato con fatica spostando a picconate gli strati di tutte-le-altre-cose che impiliamo una sull’altra col passare degli anni.
E’ complicato trovare un equilibrio.
Quello che intendo dire è che vanno definite chiaramente piccole tappe ed un bel premio finale di modo da rendere il cammino, okay automotivante e gratificante perché virtuoso, ma anche concretamente piacevole, di tanto in tanto.
Spesso sono proprio le piccole grandi soddisfazioni lungo la strada che ci rimettono in pista e ci ridanno il tepore necessario per rimetterci di nuovo in viaggio, nonostante la giustezza del viaggio e il significato della metà.